Non so bene cosa mi sia passato per la testa quando ho deciso di intraprendere questa follia. Forse è stata quella volta che ho sentito un tizio al bar dire che “il CrossFit è solo una moda passeggera” e che “le vere palestre sono quelle tradizionali”. O forse è stato il risultato di una scommessa persa dopo una serata con troppi shots di tequila. In ogni caso, eccomi qui, in piedi davanti all’ingresso di una Globo Gym, pronto a iniziare il mio mese da infiltrato.
L’idea è semplice: passare un mese in una palestra tradizionale, osservando le differenze culturali tra questo ambiente e il mio amato Box di CrossFit. Un esperimento sociale, se vogliamo. O forse solo un modo per confermare i miei pregiudizi. Chi lo sa?
Giorno 1: L’tngresso nel tempio dei narcisi
Varco la soglia e vengo immediatamente colpito da un’ondata di aria condizionata e profumo di disinfettante al limone. La reception sembra più l’ingresso di un hotel a quattro stelle che quello di un luogo dedicato al sudore e alla fatica. Una ragazza con un sorriso stampato in faccia mi accoglie:
“Benvenuto alla FitnessPalace! Posso offrirti un smoothie detox mentre compili il modulo d’iscrizione?”
Declino gentilmente l’offerta del smoothie. Cosa diavolo c’è in quella roba verde fluo? Mi guardo intorno. Specchi. Specchi ovunque. È come se fossi entrato in un labirinto di riflessi, dove ogni Narciso moderno può trovare la sua personale pozza d’acqua riflettente. Nel mio Box, l’unico specchio è quello nel bagno, utile più che altro per vedere la propria faccia dopo un WOD.
Mentre compilo il modulo, noto che le domande sono molto diverse da quelle del mio Box. Qui mi chiedono se ho “obiettivi estetici specifici” e se sono interessato a “sessioni di personal training per definire gli addominali”. Al Box, l’unica domanda era: “Sei pronto a soffrire?”.
Giorno 3: Il suono del silenzio
Sono passati tre giorni e sto ancora cercando di abituarmi a questo strano silenzio. O meglio, a questa cacofonia di silenzi individuali. Ogni membro della palestra sembra vivere nel suo piccolo universo sonoro, isolato dal resto del mondo da un paio di cuffiette wireless.
Nel mio Box, l’unica colonna sonora è quella scelta dal coach, spesso discutibile, a volte francamente orribile, ma almeno condivisa. Qui, l’individualismo regna sovrano anche nelle scelte musicali. Mi chiedo cosa stiano ascoltando tutti questi atleti solitari. Motivational speeches? L’ultimo podcast su come ottenere addominali d’acciaio in 7 giorni? O forse solo il suono del proprio respiro amplificato, in una sorta di meditazione narcisistica?
Oggi ho provato a sorridere e salutare un tizio vicino a me sul tapis roulant. Mi ha guardato come se gli avessi appena proposto di infrattarci negli spogliatoi per fare sesso. Forse qui il sudore non è considerato un collante sociale come nel CrossFit.
Giorno 7: Il tabù del contatto umano
Una settimana è passata e sto iniziando a capire le regole non scritte di questo posto. La prima e più importante sembra essere: “Non disturbare, per nessun motivo”. Oggi ho assistito a una scena che nel mio Box sarebbe stata impensabile.
Un ragazzo, chiaramente alle prime armi, stava per staccarsi una spalla eseguendo un movimento completamente sbagliato con i pesi. Nel mio Box, almeno tre persone sarebbero intervenute immediatamente per correggerlo. Qui? Niente. Tutti hanno continuato a fare i fatti loro, alcuni addirittura distogliendo lo sguardo, come se assistessero a qualcosa di imbarazzante.
Non ho resistito e mi sono avvicinato per dargli un suggerimento. La sua reazione? Mi ha guardato come se gli avessi appena proposto di infrattarci negli spogliatoi per fare sesso, ah no, questo l’ho già detto per il tizio del tapis roulant… ma in effetti le reazioni sono molto simili qui. Ha mormorato un “&£%%$” a denti stretti e si è allontanato, probabilmente per andare a farsi male in un altro angolo della palestra.
Nel Box, correggere un compagno è la norma. È parte integrante della cultura. Qui, è un’invasione della privacy, un tabù sociale paragonabile a chiedere a qualcuno quanto guadagna o se ha votato per la Schlein.
Giorno 10: La danza dei pavoni
Oggi ho assistito a uno spettacolo affascinante: la danza di accoppiamento del maschio di Globo Gym. Un tizio muscoloso si è piazzato davanti allo specchio più grande della sala pesi e ha iniziato una serie di pose degne di un culturista professionista. Bicipiti, tricipiti, pettorali: ogni muscolo è stato esibito con cura meticolosa alla tipa che stava facendo gli adduttori a quella macchine che ti fa allargare e chiudere le gambe..
La cosa più sorprendente? Nessuno sembrava trovarlo strano. Anzi, ho notato diversi sguardi di ammirazione, sia maschili che femminili. Nel mio Box, se qualcuno si mettesse a posare così, verrebbe immediatamente sommerso da una pioggia di burpees punitivi. Mi chiedo se esista un corso segreto di “posing” che non ho ancora scoperto nel programma della palestra. Forse è incluso nell’abbonamento premium?
Giorno 14: La solitudine del corridore a lungo termine
Due settimane sono passate e la nostalgia per il mio Box si fa sentire sempre di più. Oggi, dopo aver corso per 45 minuti sul tapis roulant, perché apparentemente correre all’aperto è troppo mainstream, mi sono reso conto di quanto mi mancasse il senso di comunità del CrossFit.
Nel Box, dopo un WOD massacrante, ci si congratula a vicenda, si discute della performance, ci si dà pacche sulle spalle sudate. Qui? Dopo aver sudato litri su un tapis roulant, ognuno se ne va per la sua strada, evitando accuratamente il contatto visivo, come se il sudore fosse contagioso.
Ho provato a fare un timido “high five” a un tizio che aveva appena finito la sua sessione cardio. Mi ha guardato come se gli avessi offerto di fare sesso negli spogliatoi. Forse qui il contatto fisico è consentito solo se mediato da un bilanciere o una macchina isotonica? E comunque non si fa sesso negli spogliatoi, cone nessuno, a meno che non sia il set di un film porno gay.
Giorno 18: Il mistero della zona funzionale
Oggi ho fatto una scoperta interessante: anche in questa Globo Gym esiste una zona dedicata all’allenamento funzionale. È un piccolo angolo nascosto, quasi imbarazzante, come se fosse il figlio illegittimo che la palestra cerca di tenere nascosto.
Ci sono persino un paio di bilancieri e qualche kettlebell, anche se sembrano più elementi decorativi che attrezzi realmente utilizzati. Ho provato a fare qualche snatch e il rumore del bilanciere che cadeva a terra ha attirato sguardi scandalizzati da tutta la palestra. Apparentemente, qui il fitness deve essere silenzioso.
La cosa più divertente? C’è un cartello che recita: “Zona Funzionale: Si prega di non lasciare cadere i pesi”. Mi chiedo se abbiano mai provato a fare un clean and jerk tenendo il bilanciere in aria dopo averlo sollevato. Forse qui la gravità funziona diversamente?
Giorno 21: La filosofia del “No Pain, No Pain”
Tre settimane di osservazione mi hanno portato a una conclusione interessante: qui sembra regnare la filosofia del “No Pain, No Pain”. È l’esatto opposto del “No Pain, No Gain” che governa il mondo del CrossFit.
Ho realizzato che qui non esiste il concetto di “scalare” un esercizio. O lo fai, o non lo fai. Nel CrossFit, adattare un movimento alle proprie capacità è la normalità. Qui, sembra che ammettere i propri limiti sia un tabù.
Ho visto una signora lottare per sollevare un peso chiaramente troppo pesante per lei. Invece di ridurre il carico, ha preferito eseguire il movimento in modo completamente sbagliato, rischiando un infortunio. Nel Box, il coach sarebbe intervenuto immediatamente. Qui, l’unico intervento è stato quello di un personal trainer che le ha proposto una sessione a pagamento per “migliorare la sua tecnica”.
Mi chiedo se il dolore qui sia considerato un nemico da evitare a tutti i costi, invece che un compagno di viaggio come nel CrossFit. O forse è solo che il dolore non è fotogenico quanto un bicipite gonfio?
Giorno 25: La guerra delle macchine)
Oggi ho assistito a una scena surreale: due tizi che litigavano per l’uso di una macchina per i bicipiti. Nel mio Box, l’unica cosa per cui si litiga è chi deve pulire il pavimento dopo un WOD particolarmente sudato e di solito si finisce per farlo tutti insieme.
La cosa più assurda? C’erano almeno altre tre macchine identiche libere a pochi metri di distanza. Ma apparentemente, quella specifica macchina aveva poteri magici per far crescere i bicipiti del 200% in una singola sessione.
Questa ossessione per le macchine mi fa riflettere. Nel CrossFit, il nostro rapporto con l’attrezzatura è quasi spirituale: rispettiamo i nostri bilancieri, kettlebell e rower come fossero antiche reliquie. Qui, le macchine sembrano più delle protesi, estensioni artificiali del corpo umano.
Mi chiedo se un giorno queste macchine prenderanno il sopravvento, creando una razza di super-umani con bicipiti enormi ma incapaci di eseguire un singolo burpee.
Giorno 28: Il rito del selfie post-allenamento
Mancano solo due giorni alla fine di questo esperimento e oggi ho assistito a quello che può essere considerato il rito sacro della Globo Gym: il selfie post-allenamento.
È come una coreografia ben orchestrata. Appena finito l’allenamento o quello che qui passa per allenamento, i membri si dirigono verso lo specchio più grande e luminoso. Seguono una serie di pose studiate, flessioni di bicipiti, addominali in tensione, sguardi intensi verso l’obiettivo. Il tutto accompagnato da una serie di scatti che farebbero invidia a un servizio fotografico professionale.
Nel mio Box, l’unico selfie post-WOD sarebbe un primo piano di una pozza di sudore sul pavimento. O al massimo una foto di gruppo, tutti stremati e sorridenti, con i capelli incollati alla fronte e le magliette zuppe.
Mi chiedo quanti filtri Instagram vengano applicati prima che queste foto finiscano sui social con l’hashtag #nofilter.
Giorno 30: L’addio e le riflessioni finali
È arrivato l’ultimo giorno del mio esperimento sociale. Mentre mi cambio nello spogliatoio, realizzo che in un mese non ho scambiato più di dieci parole con gli altri membri. Nel Box, dopo un mese saresti già parte integrante della famiglia, con tanto di soprannome imbarazzante e un paio di inside joke.
Ripercorro mentalmente questa esperienza e cerco di trarre delle conclusioni. La prima cosa che mi colpisce è come l’individualismo regni sovrano in questo ambiente. Nella Globo Gym, ognuno vive nel suo mondo. Non c’è senso di comunità, non c’è spirito di squadra. È come essere in una biblioteca dove invece di leggere libri si sollevano pesi.
Un altro aspetto che non posso fare a meno di notare è come l’estetica sembri essere la priorità assoluta qui. Mentre nel CrossFit ci concentriamo sulla performance e sul superamento dei nostri limiti, qui sembra che l’unico obiettivo sia apparire bene allo specchio o nelle foto di Instagram. È un approccio al fitness che mi risulta alieno e, francamente, un po’ vuoto.
Il comfort, poi, sembra essere re incontrastato in questo regno di macchine cromate e specchi immacolati. Niente gesso che sporca, niente pesi che cadono rumorosamente, niente urla di incoraggiamento. Tutto deve essere pulito, silenzioso, confortevole. Ma da quando il vero fitness è comodo? Mi manca il caos controllato del mio Box, dove il sudore e lo sforzo sono segni d’onore, non cose da nascondere.
Nonostante l’enorme quantità di macchine, l’allenamento qui sembra incredibilmente monotono. Nel CrossFit, ogni giorno è una nuova sfida. Qui, sembra che la gente faccia sempre le stesse cose, giorno dopo giorno. La mancanza di varietà è palpabile e, per uno come me abituato alla costante evoluzione del CrossFit, francamente deprimente.
Ma forse la cosa che più mi ha colpito è il paradosso della solitudine in mezzo alla folla. Non ho mai visto così tante persone in uno spazio così grande sentirsi così sole. È come se ognuno fosse in una bolla invisibile, impenetrabile. Questa disconnessione umana in un luogo dedicato al miglioramento personale mi sembra la più grande contraddizione di tutte.
Mentre esco dalla palestra per l’ultima volta, sento un misto di sollievo e gratitudine. Sollievo perché posso finalmente tornare al mio Box, alla mia tribù di pazzi sudati che considerano un buon allenamento quello dopo il quale vomiti. Gratitudine perché questa esperienza mi ha fatto apprezzare ancora di più la cultura che abbiamo creato nel mondo del CrossFit.
RItorno alla vita
Mentre guido verso il mio Box, rifletto su questo mese di “infiltrazione” e su ciò che ho imparato. L’esperienza nella Globo Gym è stata illuminante, ma non nel modo che mi aspettavo. Mi ha mostrato, per contrasto, il vero valore di ciò che abbiamo creato nel mondo del CrossFit.
Sì, forse siamo un po’ ossessionati. Sì, probabilmente parliamo troppo di CrossFit con chi non lo pratica. E sì, a volte può sembrare un culto e forse lo è un po’. Ma preferisco mille volte essere parte di una comunità che condivide sudore, fatica e risate, piuttosto che essere un anonimo frequentatore di una cattedrale di specchi e isolamento.
Ciò che ho capito è che il fitness non è solo una questione di muscoli o di prestazioni. È una questione di comunità, di sfide condivise, di crescita personale. È sporcarsi le mani di magnesite, è cadere e rialzarsi, è celebrare le vittorie degli altri come fossero le proprie. È trovare la forza di fare un’ultima ripetizione quando pensi di non farcela più, spinto dall’incoraggiamento dei tuoi compagni.
La Globo Gym, con tutta la sua pulizia, il suo ordine e la sua atmosfera asettica, manca di quell’elemento umano che rende il fitness un’esperienza trasformativa. Non c’è gioia condivisa, non c’è senso di appartenenza, non c’è quella sensazione di aver superato insieme una prova difficile.
Mentre parcheggio davanti al mio Box, sento già l’adrenalina salire. So che appena entrerò, sarò accolto da sorrisi sinceri, pacche sulle spalle e probabilmente qualche battuta sul mio “tradimento” temporaneo. So che il WOD di oggi sarà duro, sarà faticoso, probabilmente mi farà male. Ma lo farò insieme ai miei compagni, spronandoci a vicenda, ridendo delle nostre facce stravolte, celebrando ogni piccolo progresso.
Questo esperimento mi ha insegnato che il vero valore del CrossFit non sta solo nei risultati fisici, ma nell’esperienza umana che offre. È un microcosmo dove le persone si spingono oltre i propri limiti, si supportano a vicenda e crescono insieme, non solo come atleti, ma come individui.
Entrando nel Box, l’odore familiare di gomma, metallo e sudore mi accoglie come un vecchio amico. Il coach mi saluta con un sorriso complice: “Bentornato a casa, traditore!”. E in quel momento, so con certezza che sono esattamente dove devo essere.
Se mai sentite che sto considerando di tornare in una Globo Gym, per favore, fatemi fare Fran fino a quando non rinsavisco. O legatemi a un rower e non liberatemi finché non avrò remato l’equivalente della traversata dell’Atlantico. Perché ora so, più che mai, che questo è il mio posto. Questa è la mia tribù. Questo è il mio fitness.
E con questa consapevolezza, mi dirigo verso la lavagna per vedere quale sfida mi aspetta oggi, grato per ogni rep, ogni goccia di sudore, ogni momento di fatica condivisa. Perché alla fine, è questo che rende il CrossFit unico: non è solo un allenamento, è un modo di vivere. Un modo che, dopo questo mese di “esilio”, apprezzo più che mai.