Ogni mattina, puntuale come un orologio svizzero, Vanessa si sveglia alle 5:30. Non importa se fuori piove, nevica o c’è il sole: lei è un’atleta, e gli atleti non si fermano davanti a nulla. O almeno, così le piace pensare.
Si alza dal letto con la determinazione di chi sta per conquistare l’Everest, anche se l’unica montagna che dovrà scalare oggi è la pila di pesi nel suo Box di CrossFit. Inizia il suo rituale pre-allenamento: un caffè nero come la pece, amaro come i suoi pensieri verso chi non si allena, e un frullato proteico dal sapore indefinito ma dal costo esorbitante. Perché si sa, se non costa almeno quanto un rene sul mercato nero, non può funzionare.
Vanessa si guarda allo specchio di casa mentre sorseggia il suo intruglio verde. “Sono un’atleta”, si ripete. E in un certo senso, non ha tutti i torti. È decisamente più in forma della media dei frequentatori del suo Box e ha vinto qualche competizione locale. Ma da qui a definirsi un’atleta d’élite, beh, c’è un abisso grande quanto il suo ego.
Si veste con cura, indossando i suoi leggings più costosi e aderenti. Quelli con le cuciture strategiche che, a suo dire, “ottimizzano il flusso sanguigno durante gli squat”. In realtà, l’unica cosa che ottimizzano è il suo conto in banca, sempre più vicino allo zero.
Esce di casa con la sua borsa griffata piena di accessori costosi ma non sempre necessari. Ha tre tipi diversi di fasce per i polsi, cinque paia di calzini “tecnici” e una collezione di integratori che farebbe invidia a una farmacia.
Arriva al Box come se stesse entrando nell’arena olimpica. Saluta tutti con un cenno del capo, perché gli atleti veri sono concentrati e non hanno tempo per le chiacchiere. Si dirige verso la sua zona preferita e inizia il suo riscaldamento personalizzato. Che in realtà è identico a quello di tutti gli altri, ma lei è convinta che il suo modo di roteare le braccia sia unico e irripetibile.
Il WOD di oggi prevede thruster e burpees. Vanessa sorride: è il suo momento di brillare. Carica il bilanciere con un peso considerevole, più di quanto la maggior parte delle persone nel Box possa gestire. I primi thruster sono perfetti, eseguiti con la grazia di una gazzella… se le gazzelle sollevassero pesi.
I burpees sono un altro spettacolo. Vanessa li esegue con una velocità e una precisione che fanno girare la testa agli altri atleti. Finisce il WOD in un tempo eccellente, battendo la maggior parte dei presenti. Si dirige verso la lavagna dei risultati e scrive il suo tempo, aggiungendo un asterisco. “PR personale!”, scrive accanto, come se qualcuno potesse essere interessato al fatto che ha migliorato di 5 secondi il suo tempo precedente.
Dopo l’allenamento, Vanessa non perde tempo. Tira fuori il telefono e scatta una foto al suo viso sudato e soddisfatto. La posta immediatamente su Instagram con l’hashtag #beastmode e una serie di emoji di fiamme, come se avesse appena corso una maratona su Marte invece di aver semplicemente fatto un WOD intenso.
Ma la giornata di Vanessa non finisce qui. Oh no. Perché essere un “atleta” non è solo una questione di allenamento. È uno stile di vita. Ed è per questo che passa le successive due ore a navigare su siti di programmazione CrossFit, alla ricerca del prossimo piano di allenamento che promette di trasformarla nella prossima campionessa dei CrossFit Games.
Ordina una programmazione da 300 euro al mese, identica a quella seguita da altri 500 CrossFitter in tutto il mondo. Ma Vanessa è convinta che sia l’unica cosa che le manca per diventare la prossima Mat Fraser in versione femminile. Poco importa se l’unica competizione di alto livello a cui abbia mai partecipato sia stata una gara regionale, dove è arrivata 15esima. Su 20 partecipanti.
A pranzo, Vanessa si concede il suo pasto post-allenamento. Una insalata non troppo triste, accompagnata da una porzione generosa di pollo grigliato. È “pulito” e questo è quello che conta. Ignora completamente il fatto che, mezz’ora dopo, si ritroverà a razziare la macchinetta degli snack in ufficio, giustificandosi con un vago “ho bisogno di ricaricare i glicogeni”.
Al lavoro, Vanessa non perde occasione per ricordare a tutti che lei è un’atleta. Parla costantemente del suo ultimo WOD, dei suoi macronutrienti e di come il CrossFit le abbia cambiato la vita. I suoi colleghi annuiscono educatamente, mentre internamente pregano per un’improvvisa perdita dell’udito.
Durante la pausa caffè, Vanessa tira fuori il suo shaker pieno di una sostanza dal colore indefinibile. “È la mia dose pomeridiana di BCAA”, spiega a una collega che non ha assolutamente chiesto nulla. “Sai, per mantenere la massa muscolare”. La collega guarda perplessa il corpo di Vanessa, notando effettivamente una muscolatura ben sviluppata, ma decide saggiamente di non commentare.
Finito il lavoro, Vanessa si dirige nuovamente al Box. Perché un allenamento al giorno è per i deboli, e lei è tutto tranne che debole. Questa volta, il workout prevede dei ring muscle-up. Vanessa sa di poterne fare alcuni, ma vuole migliorare la sua tecnica.
Si appende agli anelli con la determinazione che nemmeno Alessandro Magno. Fa un paio di kip swing, poi esegue un muscle-up quasi perfetto. Ne fa altri due, poi cade. Si rialza con un sorriso. “Stavo solo scaldando i muscoli”, dice a nessuno in particolare, mentre alcuni novizi la guardano con ammirazione.
Dopo un’altra ora di allenamento, durante la quale ha effettivamente lavorato duro sui suoi punti deboli, Vanessa si dirige verso casa. Ma prima, una tappa obbligata: il negozio di integratori.
Qui, Vanessa si sente come un bambino in un negozio di caramelle. Scorre gli scaffali con occhi luccicanti, leggendo etichette piene di promesse miracolose. “Aumenta la massa muscolare del 500%!”, “Brucia i grassi mentre dormi!”, “Ti fa volare come Superman!”. Vanessa le crede quasi tutte, ma sa anche che nessun integratore sostituirà il duro lavoro. Esce dal negozio con una busta piena di barattoli e il portafoglio decisamente più leggero. Ma hey, questo è il prezzo da pagare per essere un’atleta d’elite, giusto?
A casa, Vanessa prepara la sua cena da “atleta”. Una porzione bilanciata di carboidrati complessi, proteine magre e verdure. Condisce il tutto con un cucchiaio di olio d’oliva, perché sa che i grassi buoni sono essenziali. Il risultato è un pasto nutriente e ben bilanciato, anche se non particolarmente eccitante dal punto di vista culinario.
Prima di andare a letto, Vanessa dedica un’altra mezz’ora a scorrere i profili Instagram dei suoi idoli del fitness. Guarda con ammirazione le foto di atleti professionisti che sollevano pesi impossibili e eseguono movimenti che lei può solo sognare. “Un giorno sarò come loro”, si dice, ignorando parzialmente il fatto che questi atleti si allenano 8 ore al giorno, hanno una genetica superiore e in molti casi, un aiutino chimico non indifferente.
Si addormenta sognando podi, medaglie e sponsorizzazioni milionarie. Domani è un altro giorno, un’altra opportunità per essere l'”atleta” che crede di essere.
E così, giorno dopo giorno, Vanessa continua la sua vita da “atleta”. Circondata da attrezzature costose, integratori non sempre necessari e un ego un po’ troppo gonfio, va avanti convinta di essere sulla strada giusta per la gloria.
Ma la verità è che Vanessa, come molti altri nel mondo del fitness amatoriale di alto livello, soffre di quella che potremmo chiamare “la sindrome dell’atleta quasi professionista”. Una condizione in cui la percezione di sé è leggermente distorta, amplificata dai successi locali e dalla propria dedizione, ma non completamente allineata con la realtà del mondo atletico “professionistico”.
Non fraintendetemi: Vanessa è indubbiamente un’atleta. Si allena duramente, ottiene risultati ed è decisamente più in forma e capace della media. Il problema sorge quando inizia a credere di essere a un passo dal diventare professionista, quando in realtà la distanza è ancora considerevole.
La verità è che essere un vero atleta professionista richiede non solo dedizione e sacrificio, ma anche un talento innato, anni di allenamento specifico e spesso un supporto economico non indifferente. Richiede la capacità di riconoscere i propri limiti, di lavorare duramente per superarli, e di capire che il percorso è lungo e spesso frustrante. Non si tratta solo di indossare i leggings più costosi o di postare selfie sudati su Instagram. Si tratta di sudore vero, di fallimenti, di momenti in cui vorresti mollare tutto ma trovi la forza di continuare.
Vanessa e tutti quelli come lei, farebbero bene a ricordare che il fitness dovrebbe essere principalmente un viaggio personale di miglioramento, non una competizione per vedere chi può spendere di più in attrezzature o chi può postare la foto più “atletica” sui social.
Se Vanessa riuscisse a trovare un equilibrio tra la sua ambizione e la realtà, potrebbe davvero fare dei progressi significativi. Potrebbe scoprire la gioia vera che deriva dal superare un limite personale, non importa quanto piccolo. Potrebbe imparare il valore della comunità del fitness, invece di usarla principalmente come palcoscenico per le sue performance.
Ma per ora, Vanessa rimane in bilico tra il mondo degli atleti amatoriali di alto livello e quello dei professionisti. Un mondo fatto di hashtag motivazionali, di selfie in pose eroiche e di convinzioni granitiche basate su fondamenta non sempre solide. Un mondo in cui è la star di un film che esiste principalmente nella sua testa, ma che ha anche qualche proiezione nel mondo reale.
E forse, in fondo, c’è un po’ di Vanessa in tutti noi atleti amatoriali. Quel desiderio di essere più di ciò che siamo, di apparire migliori, più forti, più atletici. Ma la vera forza sta nel riconoscere i nostri limiti, nel lavorare duramente per superarli, e nel celebrare i nostri progressi, per quanto piccoli possano essere, senza perdere di vista la realtà.
Quindi la prossima volta che vi trovate a postare quel selfie post-workout, a comprare quell’ennesimo integratore costoso o a proclamarvi “quasi professionisti” dopo aver vinto una gara locale, fermatevi un attimo. Chiedetevi se state davvero lavorando per migliorare o se state solo recitando una parte in un film tutto vostro.
Perché alla fine, l’unica persona che potete davvero ingannare siete voi stessi. E credetemi, non c’è nessun premio per l’atleta quasi professionista dell’anno. C’è solo la soddisfazione personale di migliorare giorno dopo giorno, consapevoli dei propri limiti ma sempre pronti a superarli.