Benvenuti nel mio angolo di sudore, fatica e autenticità.
Se state leggendo queste righe, probabilmente siete incappati in questo sito per caso, magari mentre cercavate l’ennesimo programma di allenamento miracoloso o l’ultimo integratore che promette di trasformarvi in superuomini overnight. Mmh, lasciate che vi deluda subito: qui non troverete nulla di tutto ciò. Quello che troverete, invece, è una raccolta di storie, riflessioni e sì, anche qualche lamentela di un atleta decisamente imperfetto.
Mi chiamo Rollo e sono un CrossFitter. Lo so, suona come l’inizio di una seduta degli Alcolisti Anonimi e forse non è poi così lontano dalla realtà. Perché il CrossFit, come molti di voi sapranno, può diventare una vera e propria dipendenza. Ma è una dipendenza che ti cambia la vita, nel bene e nel male.
L’idea di creare questa specie di diario è nata in un momento di astinenza da WOD durante un soggiorno in Islanda, a Olafsvik, dove ancora un Box nessuno l’ha aperto. Ecco, in uno di quei momenti ho pensato: “Ehi, perché non condividere tutte le assurdità, le gioie e le frustrazioni che vivo quotidianamente in questo mondo fatto di magnesite, bilancieri e burpees?”
Ma andiamo con ordine. Come ogni buona storia che si rispetti, dobbiamo partire dall’inizio. E l’inizio, nel mio caso, è stato tutt’altro che glorioso. Immaginate un cinquantenne sovrappeso, con una vita sedentaria e l’unico esercizio fisico consistente nell’alzare il telecomando. Ecco, quello ero io, dieci anni fa. La mia idea di fitness era guardare le Olimpiadi dal divano, birra in una mano e patatine nell’altra, commentando le prestazioni degli atleti come se ne capissi qualcosa.
Poi, un giorno, è successo. Non so se chiamarlo destino, caso o semplicemente un momento di temporanea pazzia. Ho visto un video di CrossFit online. Sapete, uno di quei video con musica epica in sottofondo, atleti che sembrano scolpiti nel marmo che sollevano pesi impossibili e fanno movimenti che sfidano la gravità. Il tipo di video che ti fa pensare “Wow, che figata!” seguito immediatamente da “Ma chi diavolo potrebbe mai fare una cosa del genere?”
Beh, apparentemente, io. Un cinquantenne che aveva deciso di sfidare il tempo e la gravità. Il giorno dopo mi sono presentato al Box più vicino, convinto di poter diventare il prossimo Rich Froning nel giro di un paio di settimane. Inutile dire che la realtà mi ha colpito più forte di una med ball in pieno stomaco.
Il mio primo WOD? Fran. Un disastro epico. Ho scoperto muscoli di cui ignoravo l’esistenza, ho imprecato in lingue che non conoscevo e sono finito a terra più volte di quante ne possa contare. Ma, stranamente, in mezzo a tutto quel dolore e quella fatica, ho sentito qualcosa risvegliarsi dentro di me. Una scintilla, un fuoco che credevo si fosse spento anni prima.
Da quel giorno, il CrossFit è diventato una costante nella mia vita. Ho imparato a amare il suono del bilanciere che colpisce il pavimento, l’odore della magnesite nell’aria e persino il bruciore dei muscoli dopo un allenamento particolarmente intenso. Ho scoperto una comunità di persone pazze quanto me, disposte a svegliarsi all’alba per torturarsi volontariamente con gli esercizi più improbabili.
Ma il CrossFit mi ha dato molto di più che solo un ottimo stato di salute. Mi ha insegnato la disciplina, la perseveranza e mi ha mostrato che i limiti esistono solo nella nostra mente. Mi ha fatto capire che fallire non è la fine, ma solo un’opportunità per rialzarsi e riprovarci.
Tuttavia, non è stato tutto rose e fiori. Ho avuto i miei momenti di sconforto, le mie battute d’arresto, vissuto la frustrazione di non riuscire a fare un singolo muscle-up mentre la ragazzina accanto a me ne faceva dieci di fila. Ho anche sperimentato l’imbarazzo di essere l’ultimo a finire un WOD, con tutti gli altri che mi guardavano cercando di nascondere la loro impazienza.
Ed è proprio da queste esperienze, da questi alti e bassi, che è nata l’idea di “The Burpees Diaries”. Perché sui social media vediamo sempre la versione patinata del fitness. Gli addominali scolpiti, i PR strabilianti, i sorrisi perfetti anche dopo un Murph. Ma la realtà, almeno la mia realtà, è fatta anche di cadute, di momenti di dubbio, di giornate in cui l’unica cosa che vorresti fare è restare a letto invece di affrontare l’ennesimo AMRAP.
Questo blog vuole essere uno spazio onesto, a volte brutalmente onesto, sul mondo del CrossFit e sul percorso di un atleta comune. O meglio, di un vecchio atleta tra virgolette, come potrei definirmi con un po’ di sano sarcasmo. Qui troverete storie di trionfi, certo, ma anche di fallimenti. Racconti di PR infranti, ma anche di giornate in cui il bilanciere sembrava pesare una tonnellata. Riflessioni sullo spirito di comunità che rende il CrossFit unico, ma anche critiche su certi aspetti che, secondo me, potrebbero essere migliorati.
Ma c’è di più. Il CrossFit non è l’unico sport che pratico. Da sette anni ho scoperto anche il canottaggio e credetemi quando vi dico che passare dal sollevare pesi al remare è stata un’esperienza… interessante, per usare un eufemismo.
Il canottaggio mi ha offerto una prospettiva completamente diversa sul fitness e sulla competizione. Mentre nel CrossFit sei principalmente in lotta con te stesso e con il timer, nel canottaggio devi imparare a sincronizzarti perfettamente con i tuoi compagni di equipaggio. È uno sport che richiede una precisione millimetrica, una resistenza incredibile e una capacità di soffrire che nemmeno i peggiori WOD del CrossFit ti possono preparare ad affrontare.
E sì, anche dopo sette anni, sono ben lontano dalla perfezione. Ma hey, nemmeno gli olimpionici lo sono. La bellezza di questi sport è proprio questa: c’è sempre qualcosa da migliorare, sempre un nuovo obiettivo da raggiungere.
Quindi, ogni tanto, mi prenderò la libertà di fare dei parallelismi tra questi due mondi apparentemente così diversi. Perché, credetemi, c’è molto che il CrossFit può imparare dal canottaggio e viceversa. E c’è molto che noi, come atleti e come persone, possiamo imparare praticando entrambi gli sport.
Ma perché, vi chiederete, dovrei perdere tempo ad ascoltare le divagazioni di un sessantenne che si illude di essere un atleta? La risposta è semplice: perché sono convinto che molti di voi si riconosceranno in queste storie. Che siate CrossFitter veterani o novellini, che remiate da una vita o che non abbiate mai messo piede su una barca, sono sicuro che troverete qualcosa con cui risuonare in queste pagine.
L’obiettivo di questo diario è molteplice. Innanzitutto, voglio incentivare il senso di comunità. Creare uno spazio dove possiamo condividere le nostre esperienze, ridere dei nostri fallimenti e celebrare i nostri successi, per quanto piccoli possano essere. Perché è facile sentirsi soli quando stai lottando con un movimento che sembra impossibile o quando ti sembra di non fare progressi. Ma la verità è che siamo tutti sulla stessa barca.
Inoltre, voglio condividere esperienze comuni. Sono convinto che molte delle cose che ho vissuto e che continuo a vivere siano esperienze condivise da molti altri atleti. Che si tratti della paura di provare un nuovo PR, dell’imbarazzo di essere l’ultimo a finire un WOD, o della gioia indescrivibile di riuscire finalmente a fare quel double under che ti perseguitava da mesi, sono tutte esperienze universali nel mondo del fitness funzionale.
Infine, desidero mostrare la parte migliore del mondo del CrossFit e del Rowing. Nonostante tutte le battute e le lamentele che potrete trovare in questo blog, la verità è che amo profondamente questi sport. Hanno cambiato la mia vita in modi che non avrei mai immaginato possibili. Voglio condividere questa passione, mostrare come il CrossFit e il canottaggio e gli port in generale, possano essere strumenti potenti di trasformazione personale, non solo fisica ma anche mentale ed emotiva.
Ora, potreste chiedervi: “Perché un blog? Perché non dei video?” Beh, la risposta è semplice: so scrivere. È quello che faccio meglio. Avrei potuto fare dei video, certo, ma mi sarei ritrovato a ripetere mille volte lo stesso take, perdendo spontaneità e probabilmente anche la pazienza. E poi, ammettiamolo, chi ha voglia di vedere un sessantenne ansimante che cerca di spiegare la differenza tra un clean e un snatch? No, grazie. La parola scritta mi permette di essere chiaro, preciso e quando serve, di rivedere e correggere. E poi, sono un vecchio, ricordate? Noi vecchi amiamo scrivere!
Ma attenzione: se state cercando consigli tecnici su come migliorare il vostro snatch o su come perfezionare la vostra tecnica di voga, probabilmente questo non è il posto giusto. Ci sono tantissimi ottimi coach e atleti là fuori che possono darvi consigli molto più qualificati dei miei. Quello che posso offrirvi, invece, è una prospettiva unica, onesta e spesso autoironica su cosa significhi essere un atleta comune e non più giovanissimo, che cerca di navigare in questi mondi complessi e affascinanti.
Ci saranno storie che vi faranno ridere, altre che vi faranno riflettere e forse alcune che vi faranno arrabbiare. Ci saranno critiche, certo, perché credo fermamente che solo attraverso il confronto e la discussione possiamo crescere e migliorare. Ma ci sarà sempre, sempre, un profondo rispetto e amore per questi sport e per le comunità che li praticano.
Ogni tanto potrò sembrare un po’ acido o sarcastico. Potrò dire cose politicamente scorrette o che faranno storcere il naso a qualcuno. Ma vi prometto che sarà sempre con l’intento di stimolare una discussione costruttiva, mai per il semplice gusto di provocare.
Quindi, se siete pronti per un viaggio nel mondo del fitness funzionale visto attraverso gli occhi di un atleta decisamente imperfetto e non più nel fiore degli anni, benvenuti a bordo. Allacciate le cinture, o meglio, stringete le vostre polsiere, perché sarà un viaggio pieno di alti e bassi, di risate e forse qualche lacrima, di trionfi e fallimenti.
E ricordate: qui non ci sono atleti perfetti, solo persone reali che cercano di diventare la migliore versione di se stesse, un burpee alla volta. Anche se, alla mia età, quei burpees fanno decisamente più male!
Benvenuti nel “The Burpees Diary – Storie di un atleta imperfetto” e come diceva sempre un mio coach: “divertitevi!”